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Attribution Marketing: orientarsi nel labirinto dei canali digitali

Attribution Marketing: orientarsi nel labirinto dei canali digitali
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Indice

Perché ogni conversione ha una storia, e fa una strada, che (quasi) nessuno sa leggere.

Nel marketing digitale, una conversione – che sia una vendita, una richiesta di preventivo o una demo prenotata - non è mai il risultato di un singolo contatto o canale.Dietro ogni azione compiuta da un utente c’è un viaggio, fatto di contenuti visti, interazioni, confronti e decisioni maturate nel tempo.

Eppure, troppe aziende continuano a basarsi su una visione riduttiva e lineare del processo d’acquisto, attribuendo il merito dell’intera vendita all’ultimo clic, all’ultima mail o all’ultimo annuncio.

È qui che entra in gioco l’attribution marketing  (eh, mancava una nuova tipologia di marketing)

Ma cos'è l'attribution marketing?

L'attribution marketing è la disciplina che studia e misura quali canali, contenuti e touchpoint hanno contribuito alla conversione di un lead o cliente.

Non si limita a contare click o aperture di email, ma cerca di ricostruire, con strumenti e modelli specifici, il ruolo reale giocato da ogni punto di contatto nel processo decisionale dell’utente.

L’obiettivo non è (solo) sapere “da dove arrivano i lead”, ma capire quali attività di marketing stanno funzionando, quali stanno aiutando... e quali invece stanno solo bruciando budget.

Perché l’attribuzione è diventata così complessa?

Una volta era tutto più semplice. Il classico “clicco su un annuncio, arrivo sul sito, compro”. In quel mondo, attribuire una conversione all’ultimo clic aveva un senso.

Ma oggi? Gli utenti si muovono in maniera disordinata, fluida, multipiattaforma e asincrona.

Prima di decidere, possono:

  • leggere un articolo trovato su Google;
  • cliccare su un annuncio su LinkedIn;
  • visitare il sito ma senza compilare il form;
  • vedere un remarketing su Instagram;
  • ricevere una newsletter;
  • parlare con un commerciale due settimane dopo.

In media, secondo le ricerche più recenti, il customer journey ha oltre 11 touchpoint. Limitarsi a uno solo - o attribuire tutto all’ultimo - significa ignorare ciò che davvero ha portato il cliente fino lì.

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Capire i diversi modelli di attribuzione (e quando usarli)

Per analizzare e attribuire il valore dei vari touchpoint, esistono diversi modelli di attribuzione. Nessuno è “giusto” in assoluto: ognuno riflette una logica diversa e va scelto in base al tipo di business, funnel e obiettivi.

  • Last Click (Ultimo clic)

Il 100% del merito va all’ultimo canale toccato prima della conversione.

PLUS: facile da implementare, supportato da tutti i tool
MINUS: ignora tutto il lavoro di awareness, nurturing e considerazione

  • First Click (Primo clic)

Attribuisce tutto al primo punto di contatto.

PLUS: utile per capire cosa ha “attivato” il contatto.
MINUS: Non considera le azioni successive che hanno portato alla decisione

  • Lineare

Distribuisce equamente il merito tra tutti i canali toccati.

PLUS: riconosce il contributo di ogni fase
MINUS: non pesa in modo differenziato i ruoli dei touchpoint

  • Time Decay (Decadimento temporale)

Assegna più valore ai canali toccati vicino alla conversione.

PLUS: più realista nei funnel B2B con cicli lunghi
MINUS: penalizza i primi touchpoint, fondamentali in fase di awareness

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  • Position-Based (Modello a U)

Distribuisce il valore in modo bilanciato, dando più peso al primo e all’ultimo touchpoint (es. 40%-20%-40%).

PLUS: buon equilibrio tra scoperta e chiusura
MINUS: non considera molto il nurturing intermedio

  • Data-Driven (Modelli algoritmici/AI)

Utilizza modelli predittivi e machine learning per calcolare l’impatto reale di ogni touchpoint.

PLUS: alta precisione, personalizzazione per ogni funnel
MINUS: richiede volumi di dati elevati e strumenti avanzati (GA4, CRM, piattaforme AI)

I grandi assenti nei report: l’attribuzione offline e cross-device

Uno degli errori più comuni è dare per scontato che tutto sia tracciabile online.
In realtà, in molti settori (specie nel B2B), molti momenti chiave avvengono offline:

  • una chiamata dopo un’email.
  • una demo fatta su Teams o dal vivo.
  • una firma dopo un incontro alla fiera.

Questi touchpoint non entrano nei report di Google Analytics o nei pixel pubblicitari, ma sono spesso decisivi.

Allo stesso modo, l’attribuzione cross-device è una sfida concreta: lo stesso utente può vedere un post su mobile, fare una ricerca su desktop e compilare il form su un tablet aziendale.

Se non c’è un ID persistente (login, cookie first-party, CRM collegato), tutti questi momenti sembrano provenire da utenti diversi.

Soluzioni possibili:

  1. Integrare CRM e strumenti di tracciamento (HubSpot, Salesforce, Pipedrive);
  2. Utilizzare tool di call tracking (es. CallRail);
  3. Tracciare eventi manuali e note commerciali nel CRM;
  4. Usare piattaforme CDP (Customer Data Platform) per unificare i dati utente.

Il fattore invisibile: privacy e fine dei cookie

Negli ultimi anni, la possibilità di tracciare gli utenti si è ridotta drasticamente:

  • l’eliminazione dei cookie di terze parti limita il retargeting e l’attribuzione cross-sito;
  • iOS e altri sistemi bloccano il tracciamento delle app;
  • il GDPR impone limiti severi alla raccolta e gestione dei dati.

Risultato? I dati di attribuzione sono sempre più incompleti o modellati (es. “conversioni stimate” da Facebook o Google).

Il futuro è nei dati di prima parte: quelli che raccogli direttamente e gestisci con consapevolezza (form, login, CRM, email marketing, eventi).

Attenzione ai bias interni: l’attribuzione è anche psicologia

L’attribution marketing non serve solo a misurare: serve anche a cambiare cultura interna. Molte aziende prendono decisioni basate su percezioni, non su dati.

Esempi:

  • il CEO crede che “LinkedIn non funzioni” perché non vede conversioni dirette;
  • il reparto vendite snobba il blog, perché “non porta lead”;
  • il team marketing investe tutto su campagne a risposta diretta, ignorando il lavoro di branding;

Un sistema di attribuzione ben costruito è anche uno strumento di persuasione interna.

  • Può dimostrare che la guida scaricata tre mesi fa ha portato alla vendita.
  • Che una sequenza di email ha triplicato la probabilità di prenotare una demo.
  • Che un contenuto video ha accorciato il ciclo di vendita del 30%.

Un esempio concreto di campagna con attribuzione multi-touch

Obiettivo: aumentare le richieste di preventivo per un servizio B2B

Strategia:

  1. Annuncio LinkedIn con guida tecnica scaricabile
  2. Email automation con 2 contenuti educativi segmentati
  3. Retargeting Google Ads su chi ha visitato senza convertire
  4. Prenotazione demo tramite Calendly
  5. Follow-up commerciale con CRM (HubSpot)
  6. Tracciamento finale via nota venditore + pipeline

Modello usato: Time Decay + report CRM personalizzato

Risultato: +42% lead qualificati rispetto a una strategia basata solo su SEO.

Anche le PMI possono fare attribution marketing (sul serio)

Non servono strumenti enterprise da decine di migliaia di euro.
"Basta" un CRM ben collegato, analytics configurato, e un po’ di metodo.

Si può iniziare con:

  • una mappatura del customer journey;
  • la definizione dei KPI chiave (conversioni, qualità lead, touchpoint chiave);
  • l’uso di UTM coerenti, tag, e report personalizzati;
  • la formazione del team (marketing e vendite!) per leggere e usare questi dati.

Conclusione: misurare meglio per decidere meglio

L’attribution marketing non è un esercizio tecnico: è un modo per dare giustizia al lavoro invisibile, capire dove puntare, dove tagliare, dove migliorare.
In un mondo dove ogni euro speso in marketing deve dimostrare il suo valore, sapere cosa funziona davvero non è più un lusso, è una necessità.

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