Il payoff può rivelarsi un alleato prezioso che completa il naming, un po’ come il dottor Watson per il celebre investigatore Sherlock Holmes.
Ci sono payoff che hanno fatto la storia del branding. Ad esempio il celebre "Just Do It" della Nike oppure “Perchè io valgo” di L’Oreal. In questo articolo esploreremo cos’è un payoff, quando può essere utile averne uno e la relazione con il naming nella costruzione dell’identità di marca. Senza dimenticare Sherlock Holmes.
Ricordate Sherlock Holmes e il Dottor Watson, il duo più celebre della letteratura investigativa? Il rapporto tra naming e payoff può essere paragonato alla loro relazione.
Certo Holmes era il protagonista indiscusso, con le sue intuizioni geniali e il suo metodo distintivo, così come un naming efficace sa essere brillante e imprimersi nella memoria.
Tuttavia, Sherlock Holmes non sarebbe stato lo stesso senza la sua spalla, il Dottor Watson: era lui a raccontare le avventure al pubblico, spiegando le intuizioni geniali di Holmes. Medico competente, non mancava inoltre di dare il suo personale contributo alla risoluzione dei casi.
Allo stesso modo, se il naming è la stella, potentemente originale e creativa, la frasetta che lo accompagna non è un elemento puramente descrittivo, ma un partner strategico che traduce, amplifica e completa l'identità di marca. Se il nome evoca e suggerisce, il payoff contestualizza e concretizza, colmando quegli spazi di significato che una singola parola non può esprimere. È un dialogo costante dove ogni elemento mantiene la propria distintività, creando insieme una narrativa più potente della somma delle parti.
Prendiamo l’app “salvacibo” Too Good To Go: il nome è intrigante come un'intuizione di Holmes, mentre il payoff "Save Food, Save Planet" non si limita a spiegare, ma eleva il messaggio creando una narrazione che ci parla di azioni concrete e valori profondi. È questa sinergia tra evocazione e chiarezza, tra distintività e accessibilità, che rende questo duo uno strumento prezioso nella costruzione di un'identità di brand memorabile.
Talvolta chiamato tagline, anche se tecnicamente non sono proprio la stessa cosa - è quella breve frase, solitamente composta di non più di tre o quattro parole, che accompagna il logo e completa l'identità del brand.
Mentre il nome rappresenta l'identità permanente del marchio, il payoff ne articola la promessa ed esprime i valori aziendali in modo più flessibile.
Lo dicono tutti i manuali di brand naming: meglio evitare nomi troppo descrittivi. Non solo risultano banali, noiosi e poco creativi, ma sono anche più difficili da tutelare a livello di proprietà intellettuale (perché probabilmente qualche competitor ha già pensato a registrare un nome simile al tuo).
Dice Alexandra Watkins, brand name expert, che un nome descrittivo “doesn’t stand in a sea of sameness”. Inoltre, rischiano di rivelarsi un boomerang nel lungo termine, se il brand vuole ampliare o cambiare il proprio raggio d’azione.
Ma ecco che entra in gioco il payoff. Se il nome è creativo ed evocativo, il payoff può svolgere una funzione più descrittiva, illustrando meglio il prodotto/servizio offerto, spiegando il valore distintivo o i benefici per il cliente, oppure puntando su un determinato tone of voice, ad esempio di tipo ironico oppure “motivazionale”.
Infatti, queste 3-4 paroline possono anche essere molto evocative, suggerendo un’atmosfera, uno stato d’animo ( “I’m loving it” di McDonalds o “Live Happilly” di Illy), oppure puntando sulla componente valoriale del brand, come nel caso di “Let’s green the planet” di Treedom.
E se dopo qualche anno le cose cambiano? Meglio cambiare la tagline che investire in un renaming, con il rischio di perdere la riconoscibilità sul mercato e confondere il target. Raramente infatti un payoff “dura per sempre”: è un elemento di medio termine, che può essere modificato - o anche eliminato - con l’evoluzione del posizionamento di brand. Pare che i 30 anni di vita del già citato “Just do it” siano un’eccezione più che la regola.
Oggi molti grandi brand scelgono di non avere un unico payoff ma diverse tagline, da usare in base ai prodotti e ai canali di comunicazione, in modo da poter agire con più libertà e dialogare con segmenti diversi del target.
Tuttavia, va detto che ormai chiunque al mondo sa chi sia e cosa faccia Nike, L’Oreal o McDonald’s. Diverso il discorso, ad esempio, per una start-up che si affaccia sul mercato o per un brand emergente che deve farsi conoscere, magari senza un budget adv a millemila cifre.
In questi casi, ecco che un payoff può aiutare a definire chiaramente il posizionamento dell’azienda, comunicando in modo semplice ed efficace la Unique Value Proposition. In altri termini, aiuta il potenziale cliente a capire chi è e cosa fa il brand, o quali bisogni può soddisfare, senza extra budget.
Allo stesso modo, può rivelarsi un alleato prezioso per le aziende B2B. Qui, sono la chiarezza e l’immediatezza a farla da padrona, ed è meglio presentarsi con un posizionamento ben chiaro, illustrando subito i vantaggi per il target (ad esempio con un payoff descrittivo) e distinguendosi dai competitors in modo chiaro.
Infine, una tagline può essere un plus per mercati specifici, come ad esempio quelli legati alla sostenibilità, dove è importante fare leva sui valori aziendali del brand.
Un aspetto interessante riguarda la protezione a livello legale.
Il tema viene trattato anche da Beatrice Ferrari nel suo manuale “Alla ricerca dell’invincibile naming”, in cui dedica un paragrafo proprio al payoff, considerato un elemento collegato alla strategia di brand naming, seppure con un orizzonte temporale più limitato.
La scelta del payoff avviene dopo il deposito del marchio, ma anche in questo caso è importante non sottovalutare gli aspetti di proprietà intellettuale: innanzitutto bisogna verificare che la tagline sia libera dal punto di vista legale. In secondo luogo, anche questo elemento può essere depositato come marchio, in modo indipendente rispetto al nome del brand.
Ed ecco che si aggiunge così un nuovo importante asset al portafoglio di proprietà intellettuale dell’azienda.
Se scelgo di avere un payoff, devo riportarlo sempre e comunque sotto il logo, in ogni occasione di comunicazione? Oggi la tendenza non è più così rigida, e possiamo dire che naming e tagline sono in una relazione aperta.
A volte si presentano insieme, ad esempio nella comunicazione corporate, ma talvolta il nome “tradisce” il suo payoff. Troviamo allora il logo da solo, oppure accompagnato di volta in volta da diverse tagline che vengono usate in modo flessibile, a seconda dei contesti o dei mercati.
Generalmente, lo troviamo sempre riportato nelle pagine pubblicitarie, insieme al logo, così come pronunciato dallo speaker al termine di uno spot radio o TV. Tuttavia nei canali digital, e anche sul sito web, si può scegliere di ometterlo per alleggerire la comunicazione…Signora mia, è proprio vero che al giorno d’oggi vale tutto, e anche la relazione tra naming e payoff è diventata fluida.
Nome e payoff sono gli architetti dell'identità di brand: il primo ne stabilisce le fondamenta, il secondo ne definisce il carattere distintivo. Insieme, costruiscono una comunicazione chiara, memorabile e strategicamente forte.
Ovviamente, non è necessario avere un payoff (mentre un nome sì), tuttavia specialmente i brand nuovi ed emergenti possono beneficiare di uno “spazio” in più per definire meglio il posizionamento e i valori del brand, cosa che il nome da solo non può fare.
Gli ultimi trend del branding vedono un uso più fluido della tagline, che può variare in base ai diversi touchpoint, e una preferenza per messaggi diretti e universali, spesso direttamente in inglese in modo da funzionare a livello globale.
Come la coppia di investigatori Sherlock Holmes e Watson, naming e payoff sono un duo che trae la propria forza dalla complementarietà. Se il naming rappresenta il genio creativo, il secondo rappresenta il lato più concreto della coppia, chiamato a compensare gli aspetti che il nome non può comunicare, e di aggiungere profondità al messaggio del brand.
Vuoi migliorare il tuo branding aziendale? Hai bisogno di creare un payoff efficace, o magari anche un nuovo naming? Contattaci e sapremo come aiutarti. Elementare, Watson.