L’Inbound Marketing si basa sui contenuti. Ma quali contenuti? Scritti come? C’è ancora bisogno della figura professionale del copywriter? Alcune riflessioni sul ruolo del copy nello scenario della comunicazione digitale, a partire dal libro di Diego Fontana “Digital copywriter”.
Uno dei pilastri alla base dell’Inbound Marketing, di cui abbiamo parlato più volte qui nel blog di Eclettica-Akura, è fornire contenuti di valore all’utente. Contenuti vuol dire, essenzialmente, parole (ma non solo). Spesso, troppo spesso, la strada scelta da molte aziende è quella di inondare il web di parole, parole, parole. Scrivere tanto, scrivere sempre. Esserci. Una strada che può anche funzionare, a livello di SEO, ma siamo sicuri che poi qualcuno questi testi li voglia leggere? E che dopo averli letti si convinca a cliccare sulla tua brava call-to-action, compilare il form e comprare in men che non si dica il vostro prodotto/servizio? Forse, se i contenuti in questione riescono ad essere utili, interessanti, ben scritti, rischiano di non diventare solo un boomerang. Forse, è meglio non affidarsi solo a un articolista che scrive articoli un tanto al kg, ma scegliere un copywriter.
Leggi qui “come creare un distillato di contenuti di valore”.
La professione del copy ha generato tanti job title diversi, tanto che spesso è difficile orientarsi persino per chi fa questo mestiere. Web editor, web content manager, articolista…
Diego Fontana sceglie di parlare di digital copywriter e questa definizione dà il titolo al suo libro: “Digital copywriter. Pensa come un copy, agisci nel digitale”.
Secondo lui, anche chi scrive per il web non può prescindere dalla lezione della pubblicità pre-digital.
Il libro di Diego Fontana è ricchissimo di riferimenti ai grandi maestri dell’advertising. Gente vissuta prima del web e dei social media. A volte, persino prima della TV.
Eppure, quei maestri hanno ancora tanto da insegnarci, a prescindere dalle tecnologie e dalle piattaforme che andremo a usare (e che tanto cambiano continuamente).
L’ironia e il minimalismo di Bill Bernbach, lo story appeal di David Ogilvy, la disobbedienza creativa di Howard Gossage - che andava a caccia di engagement e di big ideas da prima ancora che si chiamassero così - la noiosa (ma efficace) Unique Selling Proposition di Rosser Reeves.
Poi è arrivato il SEO copywriting, il mito dello “scrivere per piacere a Google”, applicando un’infinita serie di regolette e accorgimenti tecnici.
Regole che sì, un web copywriter deve conoscere, ma deve anche sapere quando infrangere. L’utente non deve subire un testo scritto per Google, esageratamente prolisso ed estremamente ripetitivo. Ultimamente, persino Google si è irritato (vedi alla voce keyword stuffing). Pensa al povero lettore, costretto a saltare da un paragrafo all’altro per trovare uno straccio di informazione utile, assediato da CTA sempre più assillanti, trattato come un bambino neanche troppo furbo.
Fontana non ne parla nel suo libro, ma ultimamente fa figo parlare di UX copywriting, dove UX sta per User Experience. Si vuole sottolineare che anche chi scrive, non solo chi disegna e sviluppa, deve avere bene in mente il concetto di user-friendly. Deve, insomma, scrivere per chi legge, progettando il testo sulla base delle esigenze e del percorso dell’utente.
In realtà, già in tempi non sospetti David Ogilvy parlava di “scrivere per il consumatore” e questa è una lezione che talvolta è stata un po’ dimenticata ma che vale tanto per il copy “d’agenzia” chiamato a ideare una campagna pubblicitaria, tanto per lo UX writer che scrive i micro-copy che accompagnano l’utente nell’utilizzo di un servizio online.
Per una campagna adv serve un concept forte, magari per un micro-copy no, però un testo riuscito è un testo che parla alle persone, che contiene una “verità umana” in cui possono riconoscersi.
Non tanto “le 10 regole per” o le CTA urlate che neanche il sergente Hartman in Full Metal Jacket (compra!, fai!, leggi!, scarica, clicca qui! Ora! Subito! Adesso!), o le keyword ripetute all’inverosimile.
Torniamo alle emozioni: l’empatia, l’ironia sono i nostri veri tools, le nostre armi vincenti.
Un vero copy è un “generatore di concept e, di conseguenza, di idee creative”.
Presi dalla frenesia del digitale, non dobbiamo dimenticare che il ruolo di chi si occupa di contenuti è di “renderli rilevanti per le persone a cui sono indirizzati, e non solo rispondenti a tutte le leggi della SEO”.
“comunque il copywriting cambi, c’è un minimo comun denominatore che non morirà mai e che è alla base dei rapporti umani, ovvero l’emozione. Per questo bisogna emozionare con semplicità i consumatori (o meglio le persone) e non tradirli mai”, scrive Sergio Spaccavento in una pagina del libro Digital Copywriter.
Ecco perché, secondo noi, una strategia di content marketing non può prescindere dal coinvolgimento di qualcuno capace non solo di scrivere tanto, ma di scrivere bene.